La Minigonna: da Mary Quant a Miu Miu

The Miniskirt: from Mary Quant to Miu Miu

Le sfilate primavera estate 2022 hanno segnato, qualora ci fossero ancora dubbi, il ritorno della minigonna. Sia designer emergenti come Marco Rambaldi, Supriya Lele e Nensi Dojaka, sia brand più affermati come Gucci e Prada, sembrano concordare sul fatto che è ora di decimare le lunghezze. L'outfit simbolo di questo revival è quello di Miu Miu, indossato da Lotta Volkova, che evoca un po' lo stile Lolita della prima Britney Spears (Baby One More Time, 1999); quella gonna più micro che mini e quel maglione corto hanno fatto rapidamente il giro del mondo, con gli stilisti che gareggiavano per accaparrarseli e le celebrità che gareggiavano per vedere chi li indossa meglio. Nel linguaggio della moda, la minigonna rappresenta fiducia e ottimismo, cose di cui, ovviamente, tutti abbiamo molto bisogno in questo momento. In questo caso specifico, però, potrebbe avere più a che fare con la nostalgia per i “bei vecchi tempi”, pre-pandemia, pre-guerra, pre-emergenza climatica; in altre parole, la leggerezza degli anni 2000, che attualmente detta tutte le tendenze non solo in ambito moda ma anche in ambito lifestyle. La "mamma" della minigonna è Mary Quant, all'anagrafe Barbara Mary, pioniera della moda e icona della Swinging London. Nata nel sobborgo londinese di Blackheat nel 1934, le sue origini sono quelle di una tranquilla famiglia della classe media. L'atteggiamento anticonformista di Mary si manifesta nella sua adolescenza, quando il futuro stilista lascia il nido per volare a Londra. Qui incontra e sposa Alexander Plunket Green, un giovane altrettanto bohémien di nobili origini. Grazie al patrimonio da lui ereditato, intorno alla metà degli anni '60 Mary Quant riuscì ad aprire Bazaar, la sua prima boutique sulla Kings Road, nel quartiere di Chelsea. Inizialmente il negozio suscita un senso di ilarità tra i londinesi, soprattutto per il folcloristico gruppo di giovani che lo frequentano. Con il passare dei mesi, però, le vetrine pensate per catturare l'attenzione delle nuove generazioni cominciano ad attirare personaggi del mondo del cinema, del teatro e dell'arte. Nello stesso periodo nasce anche la minigonna, o minigonna, nome che prende ispirazione dall'omonima vettura che era molto in voga in quel periodo. Dato che le clienti di Bazaar non possono più vedersi indossare abiti lunghi che intralciano i loro movimenti e non rispecchiano il loro stile di vita, a Mary viene l'idea di proporre qualcosa di più corto, e quindi più pratico, magari limitandosi solo a comprendere inizialmente il rivoluzionario potere che questo indumento avrebbe. Come disse in seguito la stilista stessa: "È stata la strada a inventare la minigonna".

Negli anni Sessanta Londra catalizza la voglia di cambiamento delle nuove generazioni. Musica, stile, arte e moda diventano espressione di rottura e ribellione. In questo contesto, la gonna corta diventa un modo per “dare una pausa”, con le generazioni precedenti e con un Paese vecchio e conformista. In questo contesto, il successo di Mary Quant non può che essere inarrestabile: al Baazar si aggiunge un negozio in Brompton Road, mentre si gettano le basi per la fondazione del Ginger Group, che permette di esportare la rivoluzione della minigonna negli Stati Uniti. Anche gli Stati. Ambasciatrice indiscussa della gonna corta nel mondo è la modella Twiggy, il cui corpo asciutto e adolescenziale rappresenta la frattura tra le giovani donne d'avanguardia e l'idea borghese di donna (e madre) curvy. La successiva popolarità della minigonna è dovuta anche ai media che ne hanno facilitato l'ascesa non solo nell'abbigliamento di tutti i giorni ma anche nella moda d'élite. Negli stessi anni, lo stilista francese di alta moda André Courrèges introduce i suoi famosi abiti corti con linea ad A. Negli anni '70 la minigonna divenne oggetto di critiche da parte dello stesso movimento femminista. Passa infatti da simbolo di libertà ed emancipazione ad essere considerato un indumento legato all'idea di “donna come oggetto”.

Le femministe della seconda ondata, stanche di sentire gli sguardi dei loro compagni maschi addosso, preferiscono capi neutri, maxi abiti e gonne lunghe in stile etnico. Tuttavia, nonostante le critiche, il successo di questo capo non accenna a scemare; infatti la rivediamo negli anni '80 nella versione "rah rah gonna", una gonna più opaca e meno attillata rispetto ai primi anni della sua nascita. Negli anni '90, invece, le minigonne tornano alle origini: cortissime e attillate. Grazie (anche) allo stile delle Riot grrrls, delle rock star come Courtney Love e Debbie Harry e del femminismo della terza ondata che rivendica il diritto delle donne a un'espressione, anche drammatica, della propria sessualità, sono molte le mode maison che li ripropongono in versione sartoriale, tra cui Yves Saint Laurent, Karl Lagerfeld e Gianni Versace. Il ritorno della minigonna in passerella oggi ha scatenato dibattiti: da un lato chi celebra il ritorno del sexy dopo anni di minimalismo androgeno, dall'altro chi ritiene che mostrare una quantità eccessiva di pelle oggi sia una scelta che non ha nulla a che fare con la moda. Quel che è certo è che lo spostamento culturale verso l’inclusività e la body positivity implica che la minigonna non sia più prerogativa esclusiva di donne giovani e magre: non è più scritto da nessuna parte che per indossarla sia necessario avere le gambe di un cucciolo di giraffa, anzi , il gioco sta nell'adattare i vari modelli al proprio stile, celebrando il corpo in tutte le sue forme come qualcosa di bello.